Alla Bona Dea, dai più identificata come l’antica divinità italica di Fauna, era dedicato un culto misterico (sacrificium occultum) praticato esclusivamente dalle donne del ceto aristocratico della società romana, come le matrone o le stesse vestali e celebrato ogni 1° di maggio. Il rito si fa risalire addirittura agli Arcadi comandati da Evandro che abitavano il colle Aventino e alle loro antiche divinità (Di Indigetes) e si narra persino che lo stesso Ercole (semidio) fosse stato allontanato da Carmenta, dea protettrice della gravidanza, durante uno o di essi. Una dea dunque protettrice della fertilità e dell’abbondanza , invocata per le guarigioni, che nel tempo ha avuto varie identificazioni con la Magna Mater,con Cibele, Demetra (Cerere) o con Damia. Un culto che comunque aveva la sua ragion d’essere in Boville dove la propaganda Giulio – Claudia che raccontava la discendenza degli stessi imperatori dal leggendario Enea, poneva nello stesso territorio la città di Albalonga (Albani Longani Bovillenses) con le antiche tombe e i sacri altari. Dove era il Sacello a lei dedicato in Boville è ricordato nei minimi particolari dallo stesso Cicerone nella “Pro Milone” a proposito dell’uccisione di Clodio ad opera di Milone. Erano questi infatti due nobili romani di opposte fazioni che si contendevano la carica di console all’epoca di Giulio Cesare e che si scontrarono il 18 gennaio del 52 a. C. proprio di fronte all’edicola della Bona Dea di Boville sulla via Appia, nelle vicinanze del fondo agricolo di Clodio (“Ante fundum eius”)e all’interno del fondo agricolo di Tito Sestio Gallo, legato di Cesare in Gallia.Cicerone ricorda come per Clodio si fosse trattato di una vera punizione divina in quanto dieci anni prima, nella notte tra il 3 ed i 4 dicembre del 62 a. C., come capo dei “populares”aveva osato profanare, travestito da suonatrice di cetra , i riti della stessa divinità nella dimora di Roma dello stesso Giulio Cesare per incontrane la moglie Pompea sua amante.
Un tempio (pronao) quello di Boville custodito da alcune Vestali albane che avevano la loro casa non molto distante nei pressi della villa di Clodio (odierna Villa Santa Caterina).Un centro dedito alle guarigioni dove venivano fatti dei voti come risulta da alcune epigrafi e da testimonianze storiche come di quel voto fatto dall’Imperatore Nerone per la gravidanza di Poppea (65d.C.) poi finita tragicamente e, dove venivano somministrate erbe medicinali per alcune patologie. All’interno del recinto una sorgente d’acqua con serpenti liberi nel giardino che costituivano una caratteristica del culto legato alla divinità. Nel “nao” la zona del sacro che probabilmente si trovava in un ipogeo oltre alla immagine della Bona Dea vi era un ambiente dove venivano celebrati i riti misterici con l’esclusione degli uomini e addirittura degli animali maschi.
La statua così come descritta da Macrobio rappresentava la divinità seduta, con il capo una corona di pampini di vite, ai suoi lati un cane o un leone, nella mano sinistra uno scettro e nella destra una patera, mentre vicino la gamba destra una vistosa cornucopia e alla base proprio davanti ai piedi un serpente. Alcuni elementi porterebbero ad identificare questo stesso luogo proprio li dove il Tambroni nel 1823 aveva riscoperto i resti dell’antica città (“Intorno alcuni edifici ora riconosciuti dell’Antica Città di Boville”),dove Via Castagnole incrocia con via Appia Nuova, nel luogo in cui alcune testimonianze ricordano negli anni 80 di alcuni scavi per passare dei cavi telefonici dall’altro lato della via Appia che misero in luce un ambiente ipogeo, una grande stanza con una colonna al centro che farebbe pensare proprio alla sacralità del luogo (Nao). Proprio lì di fronte dall’altro lato in corrispondenza di Vicolo del Divino Amore ben visibile dal marciapiedi, una entrata in muratura di una struttura che potrebbe essere un accesso ad un antico criptoportico o sottopassaggio. Un patrimonio archeologico e storico unico al mondo che rischia di scomparire per visioni campanilistiche o di interesse privato in un luogo che merita uno studio adeguato ed una adeguata valorizzazione da parte di tutti gli enti e amministrazioni preposte.
Marco Bellitto
lavocedeicastelli.com
Un Progetto di Donazioni e Cittadinanza Attiva per la manutenzione Via Appia Antica X-XI miglio (Ciampino-Marino)
Il Circolo Legambiente Appia sud Il Riccio, la sezione di Legambiente dei Castelli Romani, ha avviato il progetto: #weloveappiantica, donazioni e cittadinanza attiva per la manutenzione della Via Appia Antica X-XI miglio (Ciampino-Marino).
L’OBIETTIVO del progetto è il ripristino della completa accessibilità, percorribilità e sicurezza del tratto di Appia Antica X-XI miglio, ricadente nei Comuni di Marino e Ciampino, attraverso l’opera di sistemazione definitiva della vegetazione infestante.
E’ possibile sostenere il progetto #weloveappiantica attraverso un contributo economico oppure dedicando parte del proprio tempo per aiutare nelle opere di manutenzione della vegetazione.
Il PARCO APPIA ANTICA comprende un tratto di Appia Antica di circa 16 km, estendendosi su tre Comuni: Roma, Ciampino e Marino. La parte finale del Parco compresa tra i Comuni di Ciampino e Marino accoglie l’ultimo tratto visibile dell’antica strada romana di circa 2.650 mt. L’area di Appia Antica attinente a Marino (1650 mt.) è posizionata tra le sue frazioni più popolose: S.Maria delle Mole, Cava dei Selci e Frattocchie. L’area compresa in questi due comuni costituisce un ampio corridoio tra Natura e Archeologia, posto tra vigneti e uliveti, a disposizione di cittadini, turisti, camminatori e rappresenta lo snodo fondamentale di raccordo con gli “Itinerari di Cammino” che poi proseguono verso il centro e il sud d’Italia, come il Cammino Naturale dei Parchi e la Via Francigena del Sud.
Il tratto in questione (Ciampino-Marino) è quello che presenta PIU’ PROBLEMATICHE dal punto di vista dell’accessibilità, percorribilità e sicurezza, dovute soprattutto a una rapidissima crescita della vegetazione infestante. Nel corso degli anni la collaborazione tra Parco Regionale Appia Antica e Circolo Legambiente Appia Sud Il Riccio ha sempre prodotto solo interventi in emergenza per ripristinare almeno un corridoio di percorribilità garantita, per pochi mesi, fino alla successiva ricrescita della vegetazione che non ha mai permesso di godere pienamente e completamente di tutta l’area pulita e sistemata.
Ogni cittadino, attività commerciale, associazione, potrà contribuire economicamente a sostenere lavori necessari per la bonifica della vegetazione infestante, oppure attraverso la banca del tempo, ognuno di noi potrà donare qualche ora del proprio tempo o mettere a disposizione la propria professionalità per gli obiettivi del progetto.
Il progetto infine prevede la SOSTENIBILITA’ NEL TEMPO. Al raggiungimento dell’obiettivo: la COMPLETA ELIMINAZIONE DELLA VEGETAZIONE INFESTANTE, la fruibilità e accessibilità potranno essere garantite nel tempo, da un più semplice e assai meno dispendioso programma di manutenzione.
Per tutti i dettagli, come partecipare e sostenere il progetto, come donare, come contribuire attraverso regali solidali per il Natale basta consultare la pagina del sito:
legambienteilriccio.it/weloveappiantica
Si è svolta domenica 12 maggio scorso, nella ormai consueta occasione dell’Appia Day, giornata dedicata ad apprezzare le bellezze della Via Appia, una straordinaria manifestazione promossa dalle associazioni “Blue and green” e “Sempre Boville Onlus”, che ci ha regalato, nonostante le proibitive condizioni metereologiche, dei piacevoli momenti di interesse. Guidati dall’esperto archeologo Paolo Montanari, oltre ad aver percorso il diverticolo che corre sotto il McDonald’s e alla visita dei giardini di Villa della Sirena, un tempo luogo di ozio e ospitalità della famiglia Colonna, oggi di proprietà dei monaci trappisti alle Frattocchie, abbiamo potuto ammirare gli splendidi resti di un’antica torre medioevale di pianta ottagonale, caratteristica molto rara nella campagna romana, come ben ci appare in un superbo disegno di Carlo Labruzzi, la Torre Leonardo. Il nome di questa torre compare in un antico manoscritto, datato 29 maggio del 1286, in un atto di divisione ed assegnazione dei beni alla famiglia Orsini di Marino, in cui compare tra le altre proprietà descritte anche un terreno antistante la Torre di Leonardo di Guglielmo lungo la strada per Albano (Tomassetti, La Via latina v. II pag.259; Caetani Gelasio, Regesta Chartarum, v. I , pagg.57-58).
Un vero e proprio atto di vendita che metterà fine a quelle contese di eredità legate all’estinzione di quel ramo della famiglia Frangipane di Marino nella figura di Jacopa dei Settesoli grande amica di San Francesco. Nell’atto stesso compare il nome dello stesso cardinal Napoleone Orsini al quale sono legati gli eventi di quel periodo e molta storia di Marino. Dobbiamo infatti ricordare come lo stesso cardinale fu legato a quel Sciarra Colonna e Guglielmo di Nogaret che ebbero un ruolo così determinante nell’episodio del cosiddetto “schiaffo di Anagni” e della successiva “Cattività Avignonese” del papato di quegli anni.
Una torre, dunque, che non merita l’oblio e che come abbiamo potuto notare può subire ulteriori danni nelle struttura che mostra una vistosa crepa in un costone che la sorregge.
Marco Bellitto di Italia Nostra
Piranesi a Frattocchie
Le terme nell’antica Roma erano talmente diffuse che oltre agli edifici pubblici ad esse dedicati, era possibile ritrovarle sia nelle ville o domus urbane che in quelle suburbane. Così conosciamo molto bene come nei luoghi dove sorgeva la città della gens Giulia, Bovillae, l’odierna Frattocchie, sono molte le testimonianze archeologiche di questo tipo di strutture come quelle rinvenute alcuni anni fa presso la stazione di Santa Maria delle Mole o come lo stesso mosaico recentemente venuto alla ribalta nella cronaca locale, a dimostrazione di come fossero in uso soprattutto nelle residenze di personaggi altolocati che ne facevano dei luoghi di riposo e svago (villa d’otium).
A tale scopo può sicuramente aggiungersi la presenza nelle vicinanze di un pozzo di acque solfuree naturali che, ancora oggi fa riemergere di tanto in tanto delle polle di acqua maleodorante, in località Cava dei Selci e indizio della vicina attività del Vulcano Laziale. È proprio la potenzialità di queste acque benefiche per l’organismo, proprietà ben conosciute dai romani , che può averne incrementato lo sviluppo e l’interesse per un utilizzo termale. Un ritrovamento di strutture dedicate a questo uso, viene così indicato presso Frattocchie in uno scavo archeologico del 1758, come ben descrive Giovan Battista Piranesi in una pregevole incisione di quella raccolta dedicata al pontefice ClementeXIII, pubblicata a Roma nel 1764, dal titolo “Antichità di Albano e di Castel Gandolfo…”.
Nella tavola viene mirabilmente documentata la particolare muratura ”pensiles balnea”, che si tramanda fosse un’invenzione di Gaio Sergio Orata, un ingegnere romano che probabilmente esaltò una tecnica edilizia già in uso presso i greci: il riscaldamento ad ipocausto. Come si vede dall’immagine, si tratta di una vera e propria piscina riscaldata, una sorta di bagno turco, dove grazie ad un particolare forno sistemato in basso (praefurnium), veniva prodotto un flusso d’aria calda che in ragione di un sofisticato sistema di intercapedini e canaline in cotto, era in grado di scaldare gli ambienti e l’acqua della stessa piscina.
Marco Bellitto
"L'archeologo somiglia al saggio investigatore, che si avvale di un metodo universale e di tanti specifici sussidi. Ma somiglia anche a un direttore d'orchestra, a cui non sfuggono suoni imperfetti di archi, arpe, legni, ottoni e percussioni; o piuttosto a un regista, al quale non sfugge il dettaglio errato di un vestito o l'incongruità di un arredo. Perciò l'archeologia deve trattare tutti gli oggetti e tutte le relazioni fra di essi, includendo tutti i saperi utili. Altrimenti si resta abbracciati al frammento o poco più, come un naufrago al suo pezzo di legno". Da “La forza del contesto” del Prof. Andrea Carandini.
Vi è un luogo a Marino ricco di testimonianze del passato che rievocano storie e leggende conosciute in tutto il mondo. É proprio in quel XIII miglio della Via Appia Antica, all’interno della proprietà dell’Università di Dallas,”The Eugene Constantin Rome Campus” a Due Santi , che riemergono e si sovrappongono reperti eccezionali come quei due frammenti di colonna rastremata e quello strano capitello ritrovati in un vigneto.
A prima vista, potremmo essere portati ad attribuirlo ad un ordine italico o più precisamente tuscanico o etrusco ma che dall’attenta osservazione risulta avere forme e dimensioni che lo fanno rassomigliare più ad un ordine dorico come quello dei templi di Siracusa del VI sec. a. C. o di quelli di Paestum. C’è però una caratteristica che lo rende unico ed è quel particolarissimo gocciolatoio alla base dell’echino che lo fa somigliare stranamente a quei capitelli della più famosa ricostruzione dei primi del Novecento, eseguita da Sir Arthur Evans del Palazzo di Cnosso a Creta da quei resti che riemergevano della Civiltà Minoica. Si pone ora la questione se anch’esso possa essere una ricostruzione ottocentesca come è stato affermato da più di qualche “esperto” al quale in passato si era rivolta la proprietà oppure, tenendo conto del contesto e del luogo dove è stato ritrovato, possa invece rappresentare un elemento che ci porterebbe a ricondurlo ad una civiltà così antica come quella progenitrice della Città Eterna. E’ appunto alla città di Alba Longa e a quella civiltà (Egea) che potrebbe essere collegato questo straordinario ritrovamento in quanto lo stesso farebbe parte insieme ad altre due strutture presenti nello stesso luogo già descritte in passato dal Dobosi e dal Lugli, come il Ninfeo di Boville e la Conserva d’acqua, di un solo edificio in cui potevano le colonne rappresentare un portico o un pulvinar . Tali tre elementi rappresenterebbero un unico complesso architettonico riconducibile ad uno dei più grandiosi circhi dell’antichità legato alla fondazione di Alba Longa. Come diceva Agatha Christie : “Un indizio è un indizio,due indizi sono una coincidenza,ma tre indizi fanno una prova”. É auspicabile che da questa ipotesi azzardata se ne possa trarre qualche iniziativa per uno studio più approfondito del sito così da riscoprirne la reale storia dimenticata.
Marco Bellitto
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