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Il Decameron racconta Marino

Il Decameron racconta Marino Copertina (813)
Marco Bellitto

Tra le novelle del Boccaccio più conosciute  c’è la storia di Agnolella e di Pietro Boccamazza narrata da Elissa nella quinta giornata. Un amore quasi impossibile tra un rampollo della nobiltà romana, Pietro, forse figlio di quel Pietro  Rotondo , entrambi nominati nel testamento del famoso cardinal Giovanni Boccamazza vescovo di Frascati, e una giovanissima popolana di Campo de’ Fiori, di una nota famiglia di ebrei  romani, come suggerirebbe il nome del padre, Gigliuozzo Saulo (Paolo).I luoghi descritti nella storia, ben si addicono ad un viaggio che si conduce  da Roma , Campo de’ Fiori, dove i due abitavano, attraverso la via Appia antica,sino ai boschi che circondano Marino. I due ragazzi  decideranno di andarsi a sposare in gran segreto ad Anagni, dove Pietro ha degli amici fidati, perché osteggiati dai loro rispettivi genitori. Partiti di buon mattino da  Roma a cavallo e percorse otto miglia si troveranno a sbagliare strada svoltando a sinistra invece che mantenere la destra. E’ proprio questo tragitto che si può interpretare in base a delle mappe del Cinquecento e del Seicento che ci indicano la viabilità antica dei luoghi. Il percorso più sicuro  per Anagni  era sicuramente quello che traversava il primo tratto della via Appia antica. Sappiamo infatti che pochi anni dopo i fatti narrati nella novella, il convoglio di ottanta asinelli carichi di monete d’oro, in viaggio da Anagni a Roma per ordine del Papa Bonifacio VIII, subì una rapina da parte dei Colonna, proprio sulla via Appia, presso il Mausoleo di Cecilia Metella (3 maggio 1297).
 
Ad otto miglia da Porta San Sebastiano si trovava la cosiddetta “Statio ad Nonum” dell’Itinerario Gerosolimitano così come un diverticolo che nella Carta del Parasacchi del 1637 è nominato “via anticha per Marino”,un sito oggi ricadente presso la attuale stazione ferroviaria di Santa Maria delle Mole.La esatta corrispondenza  di questa antichissima strada  romana  con un diverticolo che ,nella Mappa del Contini del 1659, intercetta a circa due miglia esatte dalla via Appia, un “Castelletto” (Nota n° 10 a  margine della stessa),trova riscontro nella descrizione del viaggio fatta dal Boccaccio. E’ proprio a due miglia dalla deviazione che nei pressi di un castelletto i due giovani vengono assaliti da dodici fanti. La Agnolella accortasi dell’agguato fuggirà nei boschi mentre Pietro catturato,verrà riconosciuto come amico degli Orsini, ”questi è degli amici de’ nemici nostri” e, spogliato dei vestiti ,verrà salvato dal provvidenziale intervento di 25 fanti probabilmente provenienti da un piccolo borgo a ridosso di Tor Messer Paoli, una proprietà degli Orsini lì confinante. Sono infatti questi gli anni in cui Riccardo figlio di Tebaldo degli Annibaldi, già podestà di Viterbo, era stato creato senatore di  Roma insieme a Matteo Orsini (1292-1293).Sappiamo che le proprietà della famiglia Annibaldi si estendevano dalla via Appia sino alla via Latina, oggi via Anagnina: Jerusalem, un borgo fortificato su rovine romane oggi ridotto a fungaia nei pressi di Morena Centroni; Castel de Paolis, oggi rinomata casa vinicola ;il castello detto Borghetto dei Savelli all’XI miglio della via Latina e quello di Molara al XV miglio da cui “Annibaldi della Molara”.Torri e castelli medievali che si trovavano a controllare quell’asse viario della cosiddetta via Anziate o Cavona o Doganale che si snodava dalla costa tirrenica sino a Tivoli (via della transumanza) .I due giovani dopo essere scampati agli assalti dei loro aggressori (di parte ghibellina)dopo varie peripezie nei boschi  lì intorno,si ritroveranno nel castello di Marino (di parte guelfa) al cospetto di una misteriosa figura femminile, signora dello stesso  castello.Boccaccio la descrive non nominandone il nome, tanto doveva essere famosa lei come la stessa storia, come  moglie di quel “Liello Orsini di Campo de’ Fiori” che possiamo identificare quasi sicuramente in quella Margherita Aldobrandeschi, Contessa Palatina di Sovana e Pitigliano che, dopo la morte del primo marito Guy de Montfort, aveva sposato  nel 1292, Orsello, fratello minore del potente cardinale Napoleone Orsini di Marino.Un periodo storico molto travagliato, segnato anche dalla sede papale vacante che si protrasse fino all’agosto del 1294 quando, fu incoronato Papa Pietro da Morrone con il nome di Celestino V. Orsello quindi oltre che Conte Palatino di Pitigliano e Marino in virtù del matrimonio appena contratto, nel 1293 era stato eletto Podestà di Orvieto e comandante della cavalleria, alla testa di 1000 cavalieri e 5000 fanti aveva mosso guerra a Bolsena (disputa della Val del Lago).Dopo un lungo assedio il suo esercito ebbe la meglio con l’uso dei cosiddetti “trabucchi” riuscì a far breccia nelle mura e a mettere al sacco la città costringendola alla resa l’11 giugno del 1294.Tornando al racconto del Boccaccio, è proprio quest’assenza per la guerra del conte Orso dal castello di Marino che giustificherebbe quanta autorità Margherita Aldobrandeschi “la qual bonissima e santa donna era”, poteva avere nella decisione di far sposare i due innamorati nel castello di Marino a spese di suo marito e a farsi carico sempre a nome del marito di avere la dispensa delle loro rispettive famiglie. Considerando quante teorie  sono state addotte per  chiarire quali fossero i luoghi e i personaggi di questa novella, questa mia ipotesi porta nuove considerazioni e validi argomenti per una discussione su questa incredibile storia che Boccaccio ci ha voluto tramandare.
 
Marco Bellitto, Italia Nostra Sez.di Marino
 

Dante, gli Orsini e la Contessa Palatina Margherita Aldobrandeschi dalla Maremma a Marino

Dante, gli Orsini e la Contessa Palatina Margherita Aldobrandeschi dalla Maremma a Marino Copertina (830)
Marco Bellitto

Nel settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta, vogliamo ricordarlo anche a Marino con una storia quasi inedita che racconta proprio degli anni in cui visse. Numerosi sono i riferimenti a fatti e ai personaggi, avversari o amici che fossero, che Dante inserisce nella Divina Commedia, così da renderli immortali. Per quanto riguarda la storia di Marino ben conosciuti e narrati sono le vicende e i rapporti controversi tra due dei maggiori cardinali della famiglia Orsini, Matteo Rosso Orsini antiangioino e sostenitore di Bonifacio VIII e il cugino Napoleone Orsini amico dei Colonna e fautore di Filippo il Bello re di Francia. Entrambi nipoti del Cardinal Giangaetano Orsini, futuro Papa Niccolò III che, a proposito della storia del castello di Marino, compare come l’artefice della vendita, in quanto esecutore testamentario di Giovanni Frangipane, primogenito di Jacopa de’ Settesoli, il quale aveva disposto come sua volontà in caso non ci fossero stati eredi, che i suoi beni fossero venduti ed il ricavato devoluto ai poveri. In questa delicata e lunga trattativa intervenne anche un monaco Francescano suo fiduciario, Paolo dei Conti di Segni divenuto in seguito vescovo di Tripoli, al quale potrebbe riferirsi un toponimo di Marino: “Tor messer Paoli”.
 
Alla fine, il potente cardinale riuscì attraverso il nipote Matteo Rosso Orsini a farne acquisire la proprietà nel 1266 per una somma di 13.000 provisini d’oro, cedendone poi la metà ai suoi fratelli, Matteo Rosso II senatore di Roma e Rinaldo detto l’Inglese. Dante quindi incontrerà Niccolò III nel Canto XIX dell’Inferno, nella terza bolgia dell’VIII cerchio dove dimostra tutta la sua avversione nei confronti dell’Osini che si era macchiato di “simonia”, avendo venduto la Chiesa, paragonata ad una prostituta, per propri fini personali e per accrescere le ricchezze della sua famiglia: “E veramente fui figliol de l’orsa, cupido si per avanzar li orsatti, che su l’avere e qui me misi in borsa” (Dante Alighieri.Divina Commedia.Inferno , canto XIX,61).Un altro personaggio ben noto del poema che irrompe a raccontare la storia di Marino è il conte Guido di Montfort, primo marito della Margherita Aldobrandeschi, contessa palatina di Sovana e Pitigliano nella Maremma.Dante lo incontra nell’Inferno, immerso nel bullicame, fra i violenti ( Inf. XII, 118-120, VII cerchio): Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, dicendo :”Colui fesse in grembo a Dio lo cor che ‘n su Tamici ancor si cola”. Era infatti Guido cugino di Edoardo I ,re d’Inghilterra e si era macchiato in vita di un grave fatto di sangue.Per vendicare il padre ed il fratello uccisi barbaramente nella Battaglia di Evershan nel 1265,pochi anni più tardi (12 marzo 1271)colse l’occasione della vendetta durante una cerimonia sacra nella chiesa di San Silvestro a Viterbo, dove alla presenza del re di Francia Filippo III e del re di Sicilia Carlo d’Angiò, aveva ucciso sull’altare il cugino Enrico III di Cornovaglia, strappandogli poi il cuore, come nei versi viene ricordato: un cuore che cola ancora sangue sul ponte del Tamigi in un reliquiario d’oro posto su di una colonna. Tale evento ne determinò la scomunica da parte del Papa Niccolò IV e la perdita conseguente dei diritti sulla Contea di Sovana e successivamente intervenuto nella lotta contro gli aragonesi in Sicilia finì i suoi anni in carcere. Lo stesso Papa incaricò l’allora cardinale Benedetto Caetani, futuro Papa Bonifacio VIII, di assumerne la tutela dei beni e di proteggere la contessa Margherita. E’ proprio alla morte del Montfort che con un’abile mossa diplomatica, avendo avuto in quel momento lui l’incarico dal Papa di tutelarne i beni, il cardinal Napoleone Orsini fece sposare la contessa con il fratello minore Orsello, che, allora venticinquenne (1292), divenne così conte di Pitigliano e di Marino. Sono questi gli anni turbolenti per la storia dell’Italia e per la stessa Chiesa che portarono alla sede vacante del papato che si protrasse per ben due anni dal 1292 al 1294.Gli stessi anni in cui è presumibile che Margherita trascorresse le sue giornate di gravidanza e puerperio in maggior sicurezza nel castello del marito, Marino appunto, piuttosto che nel palazzo di Pitigliano.Furono quelli anni di guerre che tempestarono tutta la Maremma e il giovane Orso preso il comando di Orvieto condusse guerra contro Bolsena sino a raderne al suolo le mura nel giugno 1294.Alla vigilia del conclave di Perugia, fu proprio un lutto degli Orsini a favorire la discussione che portò all’elezione dell’eremita Pietro da Morrone con il nome di Papa Celestino V(5 luglio 1294). Era infatti morto, probabilmente per una epidemia di peste, ad Assisi pochi giorni prima il giovanissimo Giovanni Orsini chierico francescano e il cardinal Napoleone Orsini si stava appunto occupando delle esequie del fratello quando fu richiamato a Perugia per prendere parte al conclave che si stava concludendo e che portò all’incoronazione del nuovo Papa in Santa Maria di Collemaggio il 29 agosto del 1294 a L’Aquila. Molto discussi sono i versi di Dante che attribuirebbero a Celestino il “Gran rifiuto” nel III Canto dell’Inferno, 60: “Vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto”.Recentemente infatti più di qualche critico farebbe intendere che il “gran rifiuto” potrebbe attribuirsi addirittura a quel cardinale Matteo Rosso Orsini, nemico giurato dello stesso Dante che, dopo la rinuncia di Celestino, durante il conclave di Napoli la Vigilia di Natale del 1294,ad una prima seduta era stato proclamato Papa,nomina alla quale aveva subito rinunciato spianando la strada al Caetani, acerrimo nemico di Dante, che eletto prese il nome di Bonifacio VIII. Dante pone Bonifacio nello stesso girone dei simoniaci :”Se’ tu già costì ritto, se’ tu già costì ritto, Bonifazio?”, dove ne fa richiamare il nome dallo stesso Papa Niccolò III (Inferno, Canto XIX,52,53).Il conte Orso consigliato dalla stessa contessa palatina Margherita porterà omaggio all’incoronazione del nuovo Papa avvenuta per mano dello stesso cardinale Matteo Rosso Orsini in san Pietro il 23 gennaio del 1295 alla guida di una delegazione di 29 cavalieri senesi.
 
Orsello morirà in Pitigliano nell’ottobre del 1295 per cause ancora sconosciute, lasciando così il feudo di Sovana e Pitigliano ancora conteso tra gli Orsini, Pannocchieschi e Caetani. Dante ritorna così nella storia sin qui raccontata con l’incontro nel Purgatorio della Pia de’ Tolomei : “ricorditi di me , che son la Pia ; Siena mi fé, disfecemi Maremma: salsi colui che ‘nnanellata pria disposando m’avea con la sua gemma” (Divina Commedia, Purgatorio, Canto V, 134-136),dove è proprio la protagonista a ricordare l’episodio tragico della sua morte, voluta dal marito Nello Pannocchieschi al fine di sposare Margherita Aldobrandeschi sua amante alla morte del suo secondo marito Orsello(1295). Margherita rimarrà in seguito sotto l’ala protettrice del cardinal Napoleone Orsini sino alla sua morte. La contea di Sovana e Pitigliano dopo alterne vicende passerà agli Orsini nipoti dello stesso Napoleone dal matrimonio tra Anastasia di Montfort e Romanello Orsini, mentre il castello di Marino passerà in eredità a Matteo fratello del Cardinal Napoleone Orsini e ai suoi successori e nipoti Rinaldo e Giordano Orsini i “cani cavalieri” dell’Anonimo Romano nella Vita di Cola di Rienzo.

Giovān Battista Piranesi sulla via Appia a Marino

Giovān Battista Piranesi sulla via Appia a Marino Copertina    (commenti:2) (1.822)
Marco Bellitto

In occasione del 300° anniversario della nascita di Giovàn Battista Piranesi, vogliamo ricordare anche a Marino la figura di uno dei più grandi incisori della storia dell’arte, con la descrizione di una sua opera su un singolare monumento della via Appia a Frattocchie. Nella maestosa produzione di opere che va dalle “Vedute di Roma”, a “Le Carceri”, in cui predomina la fantasia dell’autore, sino a quelle “Antichità di Albano e Castel Gandolfo” del 1764 dove questo antico sepolcro è ben descritto e raffigurato (Cap. X tav. XXVI), un mausoleo in “opus quadratum” che gli archeologi dell’Ottocento, come lo stesso Tambroni scopritore dei resti dell’Antica Bovillae, non avevano considerato come possibile tomba.
 
Così, infatti, lo descrive Piranesi con un piccolo errore di valutazione sulla sua posizione (est –ovest) rispetto alla via Appia: “Allontanandomi poi due miglia da Albano nell’istesso mio ritorno a Roma, incontrai parimente su la via Appia, a man sinistra, l’antico sepolcro, che ho delineato e posto alla testa della presente descrizione. Anche questo stimai di delineare; imperocchè, sebbene è spogliato d’ogni ornamento, nondimeno è considerabile per la maniera tenuta dell’Architetto nel connettere l’ultimo ordine delle pietre A con i cunei B della volta”. La forma di tale sepolcro ricorda la stessa tomba di Ciro il Grande, oggi sito dell’Unesco, a Pasargade in Iran, e non è improbabile che proprio Giulio Cesare, profondo conoscitore della storia di quel grande condottiero, descritta da Senofonte nell’ “Anabasi”, possa aver fatto edificare una tomba dedicata alla Gens Giulia di Bovillae proprio su quel modello orientale nel terreno della villa rustica del suo amico Tito Sestio Gallo.
 
A tal riguardo, anche lo stesso Raffaele Fabretti ricorda come un’epigrafe proveniente dagli scavi a Bovillae e oggi esposta nella Sala del Fauno dei Musei Capitolini, descriva una tomba ed un altare fatti restaurare dal Divo Augusto al suo fido liberto Astrapton nei pressi del Sacello della Bona Dea edificato sullo stesso terreno: “VOTO SUSCEPTO BONAE DEAE ASTRAPTON AUG. CAES. VILLICUS AEDICULAM ARAM SEPTUM CLUSUM VETUSTATE DIRUTA REST.”. Lo stesso luogo è raccontato da Cicerone nella “Pro Milone” in riferimento all’attentato a Milone, dove proprio Clodio trovò la morte nella sera del 18 gennaio del 52 a. C..Con molta probabilità , questo luogo così sacro alla Gens Giulia di Bovillae, come testimonia anche Svetonio a proposito della morte di Augusto nel 18 agosto del 14 d.C. “Vita dei Cesari , Augusto 99, 100“ di come il cadavere fosse trasportato dai decurioni da Nola a Bovillae e nella notte deposto probabilmente su quell’altare fatto da lui stesso restaurare qualche anno prima, prima di essere condotto a spalla dai cavalieri sino alla sua sepoltura in Roma.(Marco Bellitto “A spasso per Frattocchie… cap. III, Le Tombe, pag. 25).
 
L’importanza di questo monumento, che oggi ricordiamo con la descrizione della magnifica incisione del Piranesi, deve far riflettere gli organi competenti sullo stato attuale del sito che risulta abbandonato e in pessime condizioni di degrado.

Villa di Fiorano: il fontanile dell’Annunziata

Villa di Fiorano: il fontanile dell’Annunziata Copertina (2.175)
Marco Bellitto

A ridosso della via Appia Antica, nei pressi dell’Aeroporto G. B. Pastine di Ciampino, c’è un luogo incantato immerso tra il verde della campagna romana e gli antichi ruderi testimoni di un illustre passato: Villa di Fiorano. Un casale di campagna ereditato dal Principe Alberico Boncompagni Ludovisi e trasformato nel Novecento dall’architetto Buzzi in un gioiello oggi proprietà della famiglia Antinori che ospita durante tutto l’anno prestigiose manifestazioni oltre feste e matrimoni. È conosciuta da molti come il set cinematografico del capolavoro di Paolo Sorrentino, “La Grande Bellezza” del 2013, passando al film “Spectre”, di Sam Mendes del 2015, con la splendida interpretazione di Monica Bellucci, regina di casa, per poi finire con “Modalità aereo” del regista Brizzi del 2019. La presenza di questa proprietà del Monastero di San Saba (San Gregorio) è già citata in un documento del 950 d.C. riportato dagli annalisti camaldolesi in cui si fa menzione di un fondo chiamato Palombario con annesso un casale, già divisi da un muro di selce (“limite salvineum” che correttamente dovrebbe corrispondere a “limes siliceus”), con una fontana di acqua viva e una chiesa ormai deserta (abbandonata),dedicata a Maria Genitrice (S. Maria Dei Genitrix), realizzata all’interno di una antico monumento sepolcrale presso l’VIII miglio (cum monumento suo quod est crypta rotunda…), che la maggior parte degli studiosi identifica nella cosiddetta “Berretta del Prete”. In seguito divenne proprietà del Monastero di San Paolo fuori le mura, come risulta da un atto redatto nel dicembre del 1378 a favore di Giordano Orsini signore del Castello di Marino,trisavolo della ben più famosa Clarice Orsini moglie di Lorenzo il Magnifico. In tale documento veniva rilasciata al nobile romano tale proprietà in “enfiteusi”, cioè in affitto per ben tre generazioni, dietro un pagamento annuo di settanta fiorini papali.
 
Sito, inoltre, di numerose scoperte archeologiche nel passato come risulta dagli scavi eseguiti da Gavino Hamilton a fine Settecento, come da quelli del maggio del 1863 di Lorenzo Fortunati che prefiguravano un ambiente termale o un ninfeo, visti gli elementi scultorei ivi rinvenuti, di una sontuosa villa di campagna (Cesio Basso?). Un ambiente descritto come ninfeo fu rinvenuto a circa duecento metri dall’altro lato della via Appia Antica nel 1927 durante lo scasso del terreno come sappiamo da G.B. De Rossi. Resti architettonici riconducibili a simili strutture permangono persino tra la vegetazione a ridosso del Fosso delle Cornacchiole o Fosso di Fiorano.La presenza dell’acqua viene descritta dallo stesso Prof. Lanciani nei primi del Novecento che rifacendosi alla testimonianza del Nibby, ricordava il restauro di un antico acquedotto romano probabilmente derivante da quello di Bovillae e la realizzazione di uno scenografico e monumentale fontanile da parte di Don Orazio Albani, come attestato anche da un’epigrafe annessa:
 
AQVAM FLORANI DIV INTERCEPTAM
ET ABERRANTEM PVRGATO FONTE RESTITVTO DVCTV
NOVIS ADIECTIS VENIS AD PRISTINVM LACVM
REDVCENDAM CVRARVNT HORATIVS ALBANVS
CLEMENTIS XI GERMANVS FRATER...
ANNO SAL. MDCCIV
 
Un fontanile, dunque, capolavoro dell’arte barocca, impreziosito da un bassorilievo in marmo di forma circolare dove vi era rappresentata l’immagine dell’Annunciazione, motivo che ne ricordava la proprietà del luogo affidata, dal Monastero di San Gregorio, all’omonima Arciconfraternita già dal 1527.Una raffigurazione, piccolo tesoro dell’arte, oggi scomparsa , che al pari del fontanile può essere attribuibile a quella cerchia di grandi artisti su cui poté contare l’Albani come curatore delle opere commissionate dal fratello, Papa Clemente XI: tra essi spiccano l’architetto Carlo Fontana e lo scultore Francesco Maratti. Allievo egli stesso del famoso pittore Carlo Maratti, Orazio trasmise questo suo amore per l’arte al figlio, quel Cardinal Alessandro Albani la cui villa impreziosita di antichità romane, oggi Villa Albani sulla via Salaria, fu in seguito scrigno della straordinaria Collezione Torlonia.
 
 
 

Marino: Il Ninfeo di Boville, un luogo dimenticato

Marino: Il Ninfeo di Boville, un luogo dimenticato Copertina (2.283)
Marco Bellitto

A Marino, il paese meglio noto in tutto il mondo per la Sagra dell’uva, i tesori dell’antichità riaffiorano dalle cantine, come da tradizione, per il vino migliore. Nell’attesa di veder aprire definitivamente al pubblico il Mitreo dopo il lunghissimo restauro e la sua messa in sicurezza , non possiamo non porre la giusta attenzione ad un’altra straordinaria testimonianza del passato, sicuramente altrettanto importante e ben più antica: il cosiddetto “Ninfeo di Boville” a Due Santi. A tal riguardo pochissime sono le fonti e le testimonianze che nel tempo si sono rarefatte tanto da farne quasi scomparire il ricordo. Tutto ebbe inizio nell’autunno del 1931, quando dopo una segnalazione del prof. Dobosi, illustre accademico rumeno, il prof. Lugli ottenne il permesso di eseguire degli scavi a ridosso di quella che oggi corrisponde a via dei Ceraseti nel tratto a circa 150 metri dalla sua diramazione da via Appia Nuova. Qui gli scavi allora eseguiti evidenziarono le strutture di due grandi mura in “opus quadratum” che correvano parallele a distanza fra loro di circa 4 metri e mezzo ,e su una di queste era scolpito un enorme simbolo fallico (Via Sacra?); inoltre, il rinvenimento di resti di una villa di epoca repubblicana con mosaici ed affreschi , che risultava costruita sopra i resti di quelle mura ben più antiche. L’attenzione degli studiosi fu allora attirata da una particolare struttura sotterranea custodita in una cantina di un casaletto seicentesco adiacente a quegli scavi.
 
A qualche decina di metri dall’abitazione, attraverso una botola di metallo ancora oggi si accede scendendo dodici gradini ad una porta che si apre in una cantina particolarissima: una stanza semicircolare a forma di grotta di circa cinque metri di diametro. La straordinarietà notata dai due eminenti studiosi era la particolare tecnica di costruzione della volta con dei blocchi di pietra albana (peperino), trasformati dallo scalpello in grandi ciottoli di fiume e in foglie enormi, il tutto impreziosito da una cornice monumentale e da un piccolo arco con un foro da cui fuoriusciva l’acqua che riforniva un pozzo sottostante. Tale conformazione li portò a formulare varie teorie che già allora ponevano dei dubbi: si trattava di un Ninfeo riconducibile al II sec. a. C., come affermava il prof. Lugli, o di un tempio o un sacello, o di altra struttura monumentale come dubitava il prof. Dobosi? Tale dibattito non è stato mai ripreso dagli studiosi sebbene nel tempo i loro lavori in merito siano stati spesso citati in diverse nuove pubblicazioni (Neuenburg, etc.)e ciò sicuramente a causa delle poche notizie del sito ormai quasi dimenticato. Oggi potremmo rivedere la discussione anche tenendo conto di una nuova possibile interpretazione che collega questa struttura ad un’altra maestosa opera che il Dobosi chiamò allora “conserva d’acqua” e che invece dalle forme ,dalle dimensioni e dal contesto in cui si trovano, possano corrispondere ad una fontana (lacus) e alla meta di un antichissimo circo (Marco Bellitto “A spasso per Frattocchie…”, ed. Aracne 2017, cap. XI, da pag. 96 a pag. 104).
 
Secondo le testimonianze locali nel “Ninfeo” ancora oggi sarebbe presente la presenza di acqua corrente proveniente da una condotta trasversale al foro sormontato dall’arco descritto e che possa far parte stessa di un antichissimo acquedotto che la tradizione vuole far risalire al Re Numa e forse legato alla mitica Albalonga.
 
 

I culti misterici e la Bona Dea di Boville

I culti misterici e la Bona Dea di Boville  Copertina (2.790)
Eleonora Persichetti

 
Alla Bona Dea, dai più identificata come l’antica divinità italica di Fauna, era dedicato un culto misterico (sacrificium occultum) praticato esclusivamente dalle donne del ceto aristocratico della società romana, come le matrone o le stesse vestali e celebrato ogni 1° di maggio. Il rito si fa risalire addirittura agli Arcadi comandati da Evandro che abitavano il colle Aventino e alle loro antiche divinità (Di Indigetes) e si narra persino che lo stesso Ercole (semidio) fosse stato allontanato da Carmenta, dea protettrice della gravidanza, durante uno o di essi. Una dea dunque protettrice della fertilità e dell’abbondanza , invocata per le guarigioni, che nel tempo ha avuto varie identificazioni con la Magna Mater,con Cibele, Demetra (Cerere) o con Damia. Un culto che comunque aveva la sua ragion d’essere in Boville dove la propaganda Giulio – Claudia che raccontava la discendenza degli stessi imperatori dal leggendario Enea, poneva nello stesso territorio la città di Albalonga (Albani Longani Bovillenses) con le antiche tombe e i sacri altari. Dove era il Sacello a lei dedicato in Boville è ricordato nei minimi particolari dallo stesso Cicerone nella “Pro Milone” a proposito dell’uccisione di Clodio ad opera di Milone. Erano questi infatti due nobili romani di opposte fazioni che si contendevano la carica di console all’epoca di Giulio Cesare e che si scontrarono il 18 gennaio del 52 a. C. proprio di fronte all’edicola della Bona Dea di Boville sulla via Appia, nelle vicinanze del fondo agricolo di Clodio (“Ante fundum eius”)e all’interno del fondo agricolo di Tito Sestio Gallo, legato di Cesare in Gallia.Cicerone ricorda come per Clodio si fosse trattato di una vera punizione divina in quanto dieci anni prima, nella notte tra il 3 ed i 4 dicembre del 62 a. C., come capo dei “populares”aveva osato profanare, travestito da suonatrice di cetra , i riti della stessa divinità nella dimora di Roma dello stesso Giulio Cesare per incontrane la moglie Pompea sua amante.
 
Un tempio (pronao) quello di Boville custodito da alcune Vestali albane che avevano la loro casa non molto distante nei pressi della villa di Clodio (odierna Villa Santa Caterina).Un centro dedito alle guarigioni dove venivano fatti dei voti come risulta da alcune epigrafi e da testimonianze storiche come di quel voto fatto dall’Imperatore Nerone per la gravidanza di Poppea (65d.C.) poi finita tragicamente e, dove venivano somministrate erbe medicinali per alcune patologie. All’interno del recinto una sorgente d’acqua con serpenti liberi nel giardino che costituivano una caratteristica del culto legato alla divinità. Nel “nao” la zona del sacro che probabilmente si trovava in un ipogeo oltre alla immagine della Bona Dea vi era un ambiente dove venivano celebrati i riti misterici con l’esclusione degli uomini e addirittura degli animali maschi.
 
La statua così come descritta da Macrobio rappresentava la divinità seduta, con il capo una corona di pampini di vite, ai suoi lati un cane o un leone, nella mano sinistra uno scettro e nella destra una patera, mentre vicino la gamba destra una vistosa cornucopia e alla base proprio davanti ai piedi un serpente. Alcuni elementi porterebbero ad identificare questo stesso luogo proprio li dove il Tambroni nel 1823 aveva riscoperto i resti dell’antica città (“Intorno alcuni edifici ora riconosciuti dell’Antica Città di Boville”),dove Via Castagnole incrocia con via Appia Nuova, nel luogo in cui alcune testimonianze ricordano negli anni 80 di alcuni scavi per passare dei cavi telefonici dall’altro lato della via Appia che misero in luce un ambiente ipogeo, una grande stanza con una colonna al centro che farebbe pensare proprio alla sacralità del luogo (Nao). Proprio lì di fronte dall’altro lato in corrispondenza di Vicolo del Divino Amore ben visibile dal marciapiedi, una entrata in muratura di una struttura che potrebbe essere un accesso ad un antico criptoportico o sottopassaggio. Un patrimonio archeologico e storico unico al mondo che rischia di scomparire per visioni campanilistiche o di interesse privato in un luogo che merita uno studio adeguato ed una adeguata valorizzazione da parte di tutti gli enti e amministrazioni preposte.
 

#WeloveAppiAntica

#WeloveAppiAntica Copertina (1.551)
Marco Cavacchioli

 

Un Progetto di Donazioni e Cittadinanza Attiva per la manutenzione Via Appia Antica X-XI miglio (Ciampino-Marino)

 

 

Il Circolo Legambiente Appia sud Il Riccio, la sezione di Legambiente dei Castelli Romani, ha avviato il progetto: #weloveappiantica, donazioni e cittadinanza attiva per la manutenzione della Via Appia Antica X-XI miglio (Ciampino-Marino).

 

L’OBIETTIVO del progetto è il ripristino della completa accessibilità, percorribilità e sicurezza del tratto di Appia Antica X-XI miglio, ricadente nei Comuni di Marino e Ciampino, attraverso l’opera di sistemazione definitiva della vegetazione infestante.

 

E’ possibile sostenere il progetto #weloveappiantica attraverso un contributo economico oppure dedicando parte del proprio tempo per aiutare nelle opere di manutenzione della vegetazione.

 

Il PARCO APPIA ANTICA comprende un tratto di Appia Antica di circa 16 km, estendendosi su tre Comuni: Roma, Ciampino e Marino. La parte finale del Parco compresa tra i Comuni di Ciampino e Marino accoglie l’ultimo tratto visibile dell’antica strada romana di circa 2.650 mt. L’area di Appia Antica attinente a Marino (1650 mt.) è posizionata tra le sue frazioni più popolose: S.Maria delle Mole, Cava dei Selci e Frattocchie. L’area compresa in questi due comuni costituisce un ampio corridoio tra Natura e Archeologia, posto tra vigneti e uliveti, a disposizione di cittadini, turisti, camminatori e rappresenta lo snodo fondamentale di raccordo con gli “Itinerari di Cammino” che poi proseguono verso il centro e il sud d’Italia, come il Cammino Naturale dei Parchi e la Via Francigena del Sud.

 

Il tratto in questione (Ciampino-Marino) è quello che presenta PIU’ PROBLEMATICHE dal punto di vista dell’accessibilità, percorribilità e sicurezza, dovute soprattutto a una rapidissima crescita della vegetazione infestante. Nel corso degli anni la collaborazione tra Parco Regionale Appia Antica e Circolo Legambiente Appia Sud Il Riccio ha sempre prodotto solo interventi in emergenza per ripristinare almeno un corridoio di percorribilità garantita, per pochi mesi, fino alla successiva ricrescita della vegetazione che non ha mai permesso di godere pienamente e completamente di tutta l’area pulita e sistemata.

 

Ogni cittadino, attività commerciale, associazione, potrà contribuire economicamente a sostenere lavori necessari per la bonifica della vegetazione infestante, oppure attraverso la banca del tempo, ognuno di noi potrà donare qualche ora del proprio tempo o mettere a disposizione la propria professionalità per gli obiettivi del progetto.

 

Il progetto infine prevede la SOSTENIBILITA’ NEL TEMPO. Al raggiungimento dell’obiettivo: la COMPLETA ELIMINAZIONE DELLA VEGETAZIONE INFESTANTE, la fruibilità e accessibilità potranno essere garantite nel tempo, da un più semplice e assai meno dispendioso programma di manutenzione.

 

Per tutti i dettagli, come partecipare e sostenere il progetto, come donare, come contribuire attraverso regali solidali per il Natale basta consultare la pagina del sito:

legambienteilriccio.it/weloveappiantica

 

La Torre Leonardo di Frattocchie

La Torre Leonardo di Frattocchie Copertina (3.631)
Marco Bellitto

 
Si è svolta domenica 12 maggio scorso, nella ormai consueta occasione dell’Appia Day, giornata dedicata ad apprezzare le bellezze della Via Appia, una straordinaria manifestazione promossa dalle associazioni “Blue and green” e “Sempre Boville Onlus”, che ci ha regalato, nonostante le proibitive condizioni metereologiche, dei piacevoli momenti di interesse. Guidati dall’esperto archeologo Paolo Montanari, oltre ad aver percorso il diverticolo che corre sotto il McDonald’s e alla visita dei giardini di Villa della Sirena, un tempo luogo di ozio e ospitalità della famiglia  Colonna, oggi di proprietà dei monaci trappisti alle Frattocchie, abbiamo potuto ammirare gli splendidi resti di un’antica torre medioevale di  pianta ottagonale, caratteristica molto rara nella campagna romana, come ben ci appare in un superbo disegno di Carlo Labruzzi, la Torre Leonardo. Il nome di questa torre compare in un antico manoscritto, datato 29 maggio del 1286, in un atto di divisione ed assegnazione  dei beni alla famiglia Orsini di Marino, in cui compare tra le altre proprietà descritte anche un terreno antistante la Torre di Leonardo di Guglielmo lungo la strada per Albano (Tomassetti, La Via latina v. II pag.259; Caetani Gelasio, Regesta Chartarum, v. I , pagg.57-58).
 
Un vero e proprio atto di vendita che metterà fine a quelle contese di eredità legate all’estinzione di quel ramo della famiglia Frangipane di Marino nella figura di Jacopa dei Settesoli grande amica di San Francesco. Nell’atto stesso compare il nome dello stesso cardinal Napoleone Orsini al quale sono legati gli eventi di quel periodo e molta storia di Marino. Dobbiamo infatti ricordare come lo stesso cardinale fu legato a quel Sciarra Colonna e  Guglielmo di Nogaret che ebbero un ruolo così determinante nell’episodio del cosiddetto “schiaffo di Anagni” e della successiva “Cattività Avignonese” del  papato di quegli anni.
 
Una torre, dunque, che non merita l’oblio e che come abbiamo potuto  notare  può subire ulteriori danni nelle struttura che mostra una vistosa crepa in un costone che la sorregge.
 
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