Pianta antica, possente, dall’utilizzazione versatile e ricorrente oggetto di citazione in molte leggende, la cui maestosità è possibile ammirare anche nei parchi e nei giardini del nostro territorio.
Classificazione botanica:
Nome comune: Leccio detto anche Elce
Nome scientifico/Specie: Quercus ilex
Classe: Magnoliopsida
Ordine: Fagales
Famiglia: Fagaceae
Genere: Quercus
Origine Nome: deriva dal latino “cerrus” , forse derivante da una radice mediterranea kaer (bello), nel senso di bell’albero.
Luogo di origine: Area Mediterranea. In Italia, dove forma boschi puri anche di notevole dimensioni, è diffuso su tutto il territorio nazionale fino ai 600 metri S.L.M, ma soprattutto nelle isole e lungo le coste liguri, tirreniche e ioniche. E più sporadicamente sul versante adriatico, tranne che in Puglia, Abruzzo e Marche.
Consistenza e morfologia: Trattasi di un albero sempreverde, alto fino a 20-30 metri, dalla chioma inizialmente densa ovale, che in età adulta diventa globosa. Anche se può assumere aspetto cespuglioso se cresce in ambienti rupestri (rocciosi e scoscesi). E’ molto longevo, ma dalla crescita alquanto lenta.
Caratteristiche componenti struttura: Il tronco, sul quale spesso si innestano i rami ad angolo retto fin dalla base, è generalmente corto robusto contorto, rivestito da corteccia liscia di color grigio-bruno da giovane, per poi divenire grigio-bruna e screpolata; le radici sono robuste fittonanti profonde e si sviluppano già dei primi anni di vita, penetrando per diversi metri nel terreno.
Il che comporta una notevole resistenza alla siccità, ma anche problemi di trapianto, che la specie sopporta male.
Le diramazioni laterali possono essere anch’esse molto robuste e spesso emettono polloni; le foglie, portate da un breve picciolo, sono persistenti (con una vitalità di 2-3 anni), alterne, presentano una consistenza coriacea e possono avere forme diverse a seconda dell’età della pianta.
Negli individui giovani e nei polloni hanno margini dentellati e spinescenti (per difendersi dagli animali) e forma ovale o ellittica, con margini lisci o dentati e lamina superiore di color verde lucido, ed inferiore bianco- lanuginosa.
Negli esemplari adulti sono più strette e ovali, lisce e leggermente ondulate, con la parte superiore verde scuro lucente e la sottostante grigiastra densamente feltrata; i fiori maschili e femminili si trovano sulla stessa pianta (monoica), separati fra di loro.
Quelli maschili, di colore giallo scuro, sono riuniti in amenti penduli cilindrici lunghi fino a 7 cm; mentre quelli femminili, lunghi circa 2 mm, sono raggruppati in corti piccioli di 3-6 elementi, di colore grigio-verde con estremità rosata, dotati di un piccolo peduncolo che li unisce al ramo.
La fioritura si verifica a maggio; i frutti sono delle ghiande (acheni), dette lecce, di colore verde chiaro, protette per 2/3 da cupole squamose di colore grigio cenere, portate, singole o in gruppi di 2-5, su un peduncolo lungo circa 10-15 mm. Le dimensioni variano da 1,5 a 3 cm di lunghezza, per 1-1,5 cm di diametro.
A maturazione, in autunno dello stesso anno della formazione, evidenziano una colorazione castano scuro con striature più marcate e la formazione di un robusto mucrone apicale; il legno è composto dall’alburno (parte più esterna, giovane, tenera e vitale, nel quale scorre la linfa grezza) di colore chiaro e del sottostante durame (parte compatta di colore scuro, non più vitale, che circonda il midollo).
Trattasi di un legno duro e pesante, soggetto ad imbarcazioni (deformazioni, piegature e torsioni).
E’ fra i legni più tannici che si conoscano.
Tant’è che se nel legno fresco appena tagliato si conficca un chiodo di ferro, dopo qualche ora è possibile notare una piccola chiazza blu che lo circonda, dovuta all’effetto della reazione dei tannini (sostanze chimiche amare di colore scuro) con il ferro: tipico fenomeno di questa ed altre piante tanniche.
Riproduzione: si effettua seminando le ghiande mature in vaso, trapiantando le piantine in pieno campo, dopo circa 2 mesi (affiancandole con un supporto per mantenere eretto il fusto) e praticando pacciamature (copertura del terreno con uno strato di materiale organico inorganico per migliorare le condizioni di crescita della pianta) con materiale ricco di sostanza organica e regolari ed abbondanti annaffiature.
Longevità: può giungere fino a mille anni.
Il leccio più antico d’Italia, denominato “l’Ilice di Carrinu”, ha un’età stimata di oltre 700 anni, si trova in Sicilia all’interno del Parco dell’Etna, nel territorio di Zafferana Etnea, ad un’altitudine di circa 937 sul livello del mare; ed essendo considerato un esemplare di eccezionale valore storico e monumentale, dal Corpo Forestale dello Stato, è stato inserito nel patrimonio italiano dei monumenti verdi.
(segue riproduzione particolari del leccio più antico d’Italia)
Esigenze:
- climatiche: essendo una pianta rustica, si adatta a qualsiasi clima: da quelli meridionali a quelli centrali, purché in posizione bene esposta alla luce del sole. Può vivere centinaia di anni anche in ambienti aridi, ma non in zone dal clima freddo. Trova l’habitat ideale nei parchi italiani, dove può dispone di molto spazio;
- Terreno: si adatta bene a qualsiasi tipologia di suoli anche salmastri, anche se preferisce quelli non troppo umidi e ben drenati, in quanto soffre i ristagni d’acqua. Ha una crescita maggiore in terreni vulcanici e minore in quelli rocciosi calcarei e prevalentemente argillosi e friabili (sciolte);
- Idriche: anche se resistente alla siccità, è utile la somministrazione di abbondanti annaffiature, ogni circa 20 giorni, in presenza di terreno perfettamente asciutto, specie nel primo stadio di sviluppo;
- Nutritive: per nulla esigente, anche se è bene apportare, ogni 2–3 anni, del concime organico (stallatico o humus di lombrico) mescolandolo al terreno intorno al fusto;
- Potatura: si esegue in autunno per sfoltire e contenere la chioma, eliminando i rami primari e secondari secchi e praticare la cimatura, al fine di favorire il ringiovanimento e migliorare l’aspetto della pianta.
Parassiti:
Cocciniglia del leccio - Nidularia pulvinata -: è un Emittero la cui femmina adulta è di colore bruno scuro, lunga circa 3-4 mm, con un ovisacco (formazione anatomica a forma di sacco, che serve a contenere e proteggere le uova durante la loro incubazione) ceroso biancastro che ricopre il corpo.
Generalmente compie una generazione all’anno.
Le neanidi (giovani insetti) si disperdono sui rami e sul tronco, per poi trasformarsi in femmine adulte e maschi alati per, a fine giugno-luglio, compiere la fecondazione.
Dato che si nutre avidamente di linfa, è causa il disseccamento della chioma infestata e dell’indebolimento generale della pianta.
Per combattere le infestazioni risultano particolarmente efficaci trattamenti specifici endoterapici, cioè a base di prodotti che vengono iniettati direttamente nel tronco della pianta. Il che consente la distribuzione della sostanza attiva all’interno dell’intero albero, riducendo al minimo l’impatto ambientale.
Altra opzione per controllare la diffusione del parassita è quella, ancora in via sperimentale, della lotta biologica attraverso la distribuzione, da fine inverno a fine agosto, di predatori come l’Exochomus quadripustulatus (che si produce in appositi laboratori) sulla vegetazione. Comunque, poiché le piante stressate sono più soggetti agli attacchi parassitari, la prevenzione più efficace consiste nel mantenerle in buona salute, praticando sistematicamente adeguate cure.
Afide del leccio o Pidocchio delle piante – Philloxera quercus –: è un Emittero che attacca il leccio localizzandosi sulla pagina inferiore delle foglie, sulle quali provoca ingiallimenti, macchie, accartocciamento, disseccamento e ampie aree necrotiche.
La formazione di nuova vegetazione, favorisce lo sviluppo del parassita; mentre le primavere piovose ne ostacolano la diffusione.
Per prevenire le infestazioni, quindi, bisogna evitare di effettuare potature che stimolano eccessiva vegetazione e procedere regolarmente a monitorare le condizioni di salute della pianta. Mentre la lotta consiste nell’utilizzo di: sapone molle di potassio, per eliminare gli insetti e la melata; olio di Neem, per alterare il ciclo vitale; prodotti più specifici a base di piretro; e, in casi di infestazioni severe, antiparassitari sistemici (che vengono assorbiti dalla pianta e trasportati all’interno del suo tessuto tramite la linfa, raggiungendo anche le parti non direttamente trattate), da distribuire appena si evidenziano i primi sintomi della presenza del parassita.
Moscerino galligeno -Dryomyia lExochom quadripustulatusichtenst - : gli adulti, che compiono una sola generazione all’anno, sono piccoli ditteri con lunghe zampe e ali pelose.
In primavera depongono le uova sulle foglie, gemme, fiori e fusto. Le larve svernano all’interno delle galle che hanno creato, nelle quali completano il loro sviluppo nell’anno successivo, quando fuoriescono scavando un piccolo foro.
Galle, conosciute anche come cecidi, che sono dovute ad una reazione della pianta (in seguito alla deposizione delle uova del parassita) con escrescenze anomale tondeggianti, che a maturazione assumono una colorazione marrone e dimensioni del diametro variabile da pochi mm ad 4-6 cm che, in caso di elevate concentrazioni, possono ostacolare lo sviluppo della pianta.
Ma che, in compenso, hanno anche uno scopo difensivo nei confronti degli attacchi degli insetti, in quanto essendo impegnati a formare le galle evitano di parassitare le ghiande.
La metodologia di lotta comprende: - asportazione e bruciatura delle galle quando sono verdi, per evitare la diffusione delle larve ancora al loro interno; - il posizionamento di trappole adesive gialle intorno alle piante per la cattura dei moscerini adulti (Finalità che si può ottenere anche con la realizzazione di trappole fai-da-te, utilizzando dei barattoli contenente acqua e aceto di mele e una goccia di detersivo per piatti, che rompendo la tensione superficiale dell’acqua farà affogare gli insetti che vi si poseranno); l’irrorazione con una soluzione di olio di Neem o sapone molle di potassio sulla vegetazione infestata; - la rimozione superficiale di terreno sottostante la chioma per eliminare uova e larve del parassita; e l’accortezza di lasciare asciugare bene il terriccio, fra una eventuale innaffiatura e l’altra, per eliminare l’umidità necessaria all’insetto per sopravvivere.
Ragnetto rosso – Tetranychus urticae – è un acaro polifago che si nutre della linfa di diverse specie di piante, causando macchie depigmentate, ingiallimento, bronzature e caduta precoce delle foglie. Si manifesta con la formazione di ragnatele sottili tra le foglie ei rami e, in caso di massicce infestazioni, può causare il disseccamento di rami o di intere porzioni di chioma.
La prevenzione consiste nel mantenere le piante in salute ed evitare stress idrici ed eccessive concimazioni azotate, per non stimolare lo sviluppo di nuova vegetazione.
Mentre la lotta può essere condotta con metodi biologici con l’impiego di: olio di Neem; sapone di Marsiglia o per piatti miscelato con acqua e olio di soia; o attraverso la rimozione fisica con getti d’acqua ad alta pressione sulle foglie. In presenza di gravi infestazioni, invece, occorre ricorrere a trattamenti a base di Piretro o Rotenone .
Corebo o Bupreste fasciato del leccio – Coroebus bifasciatus -: Coleottero della famiglia dei Buprestiti, dal corpo affusolato lungo circa 15 mm di colore verde dorato con riflessi bluastri, depone le uova su giovani rami o sulle ghiande.
Le larve appena nate penetrano e scavano gallerie discendenti all’interno dei rami e del fusto che possono raggiungere fino a 1,5 m di profondità, interessando corteccia e legno fino all’alburno.
Nell’inverno successivo, quando hanno raggiunto dimensioni anche di 40 mm, scavano una galleria che gira attorno al ramo fino a portarsi nelle vicinanze del suo centro, per poi risalire trasversalmente verso la corteccia, dove costruiranno la celletta pupale a forma di mezza luna, dalla quale usciranno, come adulti, verso metà giugno.
Ciò comporta l’interruzione del flusso della linfa, causando il progressivo disseccamento delle parti di chioma colpita. Specie in coincidenza di stagioni particolarmente secche che impediscono alle piante di produrre abbastanza linfa per annegare le larve.
La strategia del controllo del temibile parassita si basa su interventi di natura agronomica, mirati ad eliminare e distruggere i rami infestati, non appena si notano i primi segni di disseccamento, per impedire che gli adulti sfarfallino.
Limantria del leccio – Lymantria dispar -: è un lepidottero defogliatore, le larve, note come bruchi, si nutrono delle foglie risparmiando solo le nervature centrali, causandone il disseccamento e l’indebolendo della pianta. In caso di infestazioni gravi, possono colpire anche germogli e infruttescenze, dando all’albero un aspetto autunnale precoce.
La specie compie una sola generazione all’anno con la deposizione delle uova in inverno in ovature (aggregazione di uova) ricoperte da peluria protettiva, per garantire la schiusura in primavera-estate (Aprile-maggio).
Le neonate larve raggiungono la maturità e si trasformano in adulti a fine primavera-estate.
Le femmine hanno un corpo massiccio dotato di ali di 40-65 mm di apertura di colore biancastro con striature scure.
Però, non essendo in grado di volare, rimangono attaccate alla pianta ospite, segnalando la loro presenza ai maschi che volano alla loro ricerca, emettendo feromoni (sostanze chimiche prodotte da ghiandole esocrine: sudoripare, salivari, sebacee, ecc., che producono secrezioni come sudore, saliva e muco.
Secrezioni che vengono rilasciate sulla superficie corporea per attrarre il sesso opposto della stessa specie, allo scopo di garantirne la riproduzione) I maschi sono più piccoli e dispongono di ali con un’apertura di 35-40 mm, di colore nocciole-brunastro con screziature più scure, che gli consentono di essere abili volatori.
Il controllo del vorace parassita può effettuarsi con metodi:
- biologici e manuali: in inverno, individuando ed eliminando manualmente le ovature e i bozzoli (involucri di cui si circondano le larve per passare allo stato di crisalide e poi di farfalla) sui rami e sul tronco; in agosto-settembre, alla comparsa delle giovani larve, trattando le piante con prodotti a base del batterio Bacillus thuringiensis, che ingerendolo ne causa la morte. Oppure impiegando nematodi benefici: piccoli vermi entomopatogeni che penetrano nel parassita, dove rilasciano batteri simbionti che liquefanno l’insetto uccidendolo rapidamente, per poi nutrirsi e riprodursi al suo interno, dando vita a nuove generazioni che proseguono l’attacco .
- chimici: basati, come per il controllo della Cocciniglia, sul metodo di trattamento endoterapico, consistente nell’iniezione di insetticidi sistemici direttamente sul tronco, per impedire che le larve si diffondano copiosamente su tutta la vegetazione.
Utilizzazioni: il legno, essendo un molto duro, veniva impiegato per la costruzione di strutture soggette a forti sollecitazioni e ad usura, come navi, doghe di botti, parti di ingranaggi e ruote di carri agricoli e traversine ferroviarie.
Mentre dai Greci e Romani veniva usato per creare persino le prime “Corone civiche” che, nell’antica Roma, erano un’onorificenza per chi avesse salvato la vita ad un cittadino.
Oggi, invece, viene impiegato nell’Araldica civica, per realizzare specifici copricapi che rappresentano gli stemmi di enti territoriali, come città e comuni, e soprattutto è utilizzato per la produzione di carbone vegetale, legna da ardere (specie per i camini) e carbone (superiore a quello che si ottiene da altre Querce) di cannello (di forma cilindrica o a bastoncini, ampiamente usato per barbecue e grigliate.
La cui forma cilindrica lo rende particolarmente adatto per cotture che richiedono alte temperature e una brace duratura) prodotto con legno ricavato con il metodo di coltivazione a ceduo (con periodico taglio dei tronchi per la formazione di ceppaie: parte del tronco dalla quale si sviluppano germogli che diverranno altri alberi).
La corteccia: essendo molto ricca di tannino, fin dall’epoca etrusco-romana, era usata per il trattamento del cuoio e delle pelli.
Le ghiande: più dolci di quelle delle Querce, rappresentano un’ottima fonte di cibo per molti animali selvatici: Cervi, Daini, Cinghiali e domestici, come i Maiali. Mentre, in passato, venivano impiegati per la produzione di ottima farina per la preparazione di pane e dolci, ed abilmente tostate davano una bevanda simile al caffè.
La pianta: grazie alla robustezza del suo apparato radicale fittonante e alle numerose radici laterali adatte a trattenere il terreno, viene adoperata come rimboschimento e, per l’ampia proiezione della sua estesa ombra e per la compatibilità con consistenti potature della chioma, trova ampia destinazione nei parchi e nei giardini per la formazione di magistrali decorazioni (Arte Topiaria). Inoltre, essendo una sempreverde, trova impiego nella formazione di siepi per la realizzazione di “muri verdi” (sia per funzione divisoria che difensiva) e di barriere naturali (nelle regioni costiere) per la protezione del vento marino salmastro.
Le galle, fino a pochi secoli fa, rappresentavano una delle più interessanti materie prime, per la produzione dell’inchiostro ferrogallico, ampiamente utilizzato per la stesura dei documenti ufficiali, il cui preparato prevedeva l’aggiunta di acido tannico estratto appunto dalle galle.
Mentre, i bambini le usavano come palline per un gioco che richiedeva abilità manuale, per riuscire a svuotarle e praticare un foro laterale, dove inserire una cannuccia per costruire una piccola pipa, nella quale soffiavano per vedere chi riusciva a tenerla più a lungo sospesa.
Inoltre, da esse veniva ricavata una polvere rosa utilizzabile per produrre l’Alchermes: liquore dal colore rosso.
Proprietà fitoterapiche e utilizzi tradizionali, in particolare:
Le foglie producono effetti:
- astringenti e antinfiammatori, grazie all’elevato contenuto di tannini, con benefici nei confronti di infiammazioni della bocca e della gola e manifestazioni di diarrea ed emorragie;
- antisettiche (in grado di aiutare a disinfettare cicatrizzanti) e vasocostrittrici, utili per favorire la guarigione di ferite, per ridurre il sanguinamento, trattare emorroidi e ragadi anali e curare problemi cutanei come l’acne;
Le ghiande, in passato, venivano consumate, cotte, crude e tostate per il potere astringente sviluppato dalla presenza di tannini;
Le galle essendo anch’esse ricche di tannini, hanno proprietà astringenti, antisettiche e sono un’ottima soluzione naturale per dissenterie, ulcere, emorroidi ed emorragie. Mentre la tintura di galle è perfetta per curare il colera: malattia infettiva causata dalla tossina prodotta dal batterio Vibrio Cholerae, caratterizzata da diarrea acquosa, causa di rapida grave disidratazione, e la gonorrea: affezione causata dal batterio Neisseria gonorinoeae, che si trasmette attraverso rapporti sessuali non protetti o attraverso il contatto diretto con secrezioni infette o dalla madre al neonato, durante il parto, causando una congiuntivite neonatale.
Manifestazioni patologiche che se non trattate possono produrre l’infiammazione pelvica e l’infertilità nelle donne, e l’infezione acuta di un’articolazione -artrite settica- negli uomini.
La corteccia, In passato, si usava contro i disturbi gastrointestinali.
I preparati ottenibili dalle descritte parti di pianta, in genere, tradizionalmente, vengono impiegati per uso: - interno, in caso di lievi disturbi intestinali e diarrea; - esterno, per fare risciacqui o gargarismi in presenza di infiammazioni della bocca, della gola e per trattare ferite, lievi emorragie, per applicazioni su geloni, iperidrosi (eccessiva sudorazione) e altri disturbi della pelle.
Tuttavia, il Ministero della Salute, con una Direttiva del Dicembre 2010, ha consentito di inserire negli Integratori alimentari le sostanze e gli estratti vegetali della pianta denominati: cortex, fructus, lignum e surculi (giovani getti).
Curiosità storico leggendarie:
- Un ramoscello di leccio, affiancato ad un ramoscello di ulivo, nello stemma della Repubblica Italiana, simboleggiano la forza, il coraggio, la dignità del popolo e la volontà di pace;
- Nelle civiltà greche e italiche antiche il leccio fu un albero dotato di rilevante valore sacro, positivo nel periodo arcaico (Fase della storia greca che va dall’VIII secolo a.C. al 480 a.C.) di entrambe le civiltà, per assumerne successivamente una credenza sempre più negativa, fino a contornarsi di un'aura quasi funesta nello scorrere della storia di Roma; per poi essere rivalutato nel medioevo (476 d.C. -1492);
- Ovidio (poeta romano 43 a.C. – 17 d. C.) narra che nell’Età dell’oro (Epoca greca di prosperità: II secolo d.C.), le anime immortali, sotto forma di api, si posavano sugli amenti del leccio da cui scendeva il miele;
- Secondo un mito dell’antica Roma, nel lecceto alla base dell’Aventino viveva Egeria: ninfa ispiratrice di Re Numa Pompilio (753 a.C. - 673 a. C.);
- Plinio il Vecchio, cittadino romano (23 d. C – 79 d. C.) scrittore, naturalista e filosofo della natura, riporta che sul Vaticano si levava il leccio più antico della città, già oggetto di venerazione religiosa da tempi più antichi, tanto che su quest’albero c’era un’iscrizione su bronzo in caratteri etruschi (dal IX al I secolo a. C.);
- Per i Fulgorales (sacerdoti etruschi specializzati nell’interpretazione dei fulmini (caratteristica definita Ars Fulgurali), sembra che il leccio fosse un albero oracolare (sentenzioso) a causa della sua predisposizione ad essere colpito dai fulmini;
- Nelle isole ioniche (isole dell’arcipelago greco) una leggenda, narrata dal poeta Aristotelis Valaoritis nel XIX secolo, vuole che il leccio sia stato l’unico albero che acconsentì a prestare il proprio legno per la costruzione della croce. Per questo i boscaioli delle isole di Acarnania e di Santa Maura – Grecia - temevano di contaminare l’ascia toccando “l’albero maledetto” per il suo legame con la crocifissione di Cristo. Tuttavia nei Detti (proverbi) di Egidio, terzo compagno di San Francesco, viene difeso il buon nome del leccio, quando riferisce che Cristo lo predilige perché fu l’unico albero a capire che il suo sacrificio era necessario, così come quello del Salvatore stesso, per contribuire alla redenzione. E proprio il Signore appariva spesso a Egidio sotto il leccio che, appunto, era visto come simbolo di sacrificio e redenzione;
- Per i Celti (Insieme di popoli indoeuropei che si espansero in Europa tra l’800 e il 300 a. C., raggiungendo, tra il IV e il III secolo a. C., l’apice della loro influenza culturale fortemente legata alla natura, il leccio era l’albero del mondo, e i Druidi (sacerdoti) erigevano i loro altari sotto le sue fronde, che erano anche luogo di riposo per i viaggiatori;
- Nel romanzo “Il barone rampante” di Italo Calvino, il protagonista Cosimo Piovasco di Rondò, decide di salire su un elce, cioè un leccio, e di non scendere più, passando sull’albero tutta la sua vita;
- In attinenza all’emblema della potenza e solidità attribuita al leccio, si dice che la clava di Ercole o Eracle (figura mitologica greca ed eroe leggendario per la sua straordinaria forza sovrumana) fosse fatta dal suo legno.
Oroscopo Celtico:
per il quale non esiste un segno specifico chiamato Leccio.
Ma poiché esso è spesso associato simbolicamente alla Quercia, che invece è uno dei segni principali per i nati il 21 di Marzio, corrispondente al segno Zodiacale ariete, il significato attribuito a quest’ultima è di, conseguenza, attribuibile anche al Leccio, al quale l’oroscopo dedica un solo giorno, per cui sono rari i nativi del segno.
Per i Celti questi alberi avevano una forza e resistenza impressionanti che i nati il 21 Marzo ereditano e rappresentano come persone che hanno bisogno di ampi spazi, grandi libertà e sono naturalmente predisposti ad essere generosi e a guidare gli altri. Saldi e perseveranti, hanno un fortissimo senso della giustizia e mantengono sempre la parola data.
Se privati dalla loro indipendenza, però, possono diventare aggressivi quanto basta per riaverla indietro.
Caratteristiche dei nati sotto questo segno che, in dettaglio, evidenziano i seguenti aspetti:
Pro:
hanno un carattere forte ed orgoglioso, così come la personalità che amano ostentare, più che nascondere. Essi sono spesso al centro dell’attenzione ed evitano i comportamenti che ritengono mediocri. Hanno spesso grandi ideali che cercano di realizzare con tutti i mezzi di cui dispongono.
Contro:
evidenziano un certo egocentrismo e raramente amano farsi da parte, anche quando non riescono in qualcosa. A volte si rivelano essere egoisti e difficilmente accettano le critiche. Hanno una grande autostima che frequentemente rischia di ingannarli, rendendoli troppo ambiziosi.
In amore:
sono amanti passionali, che preferiscono su tutto essere corteggiati e ammirati. Quando si sentono provocati possono avere improvvisi scatti d’ira. Il loro partener deve avare una personalità complementare alla loro, possibilmente altrettanto forte e sicura di sé, per poter gestire la relazione nella miglior maniera.
Relativi alla salute:
oltre a rappresentare la qualità delle persone, il segno ha dei legami con le proprietà curative delle piante associate e con specifiche potenziali problematiche o punti di forza del corpo, che trovano riscontro rispettivamente in: camomilla, ginepro, alloro, rosmarino, pimpinella e occhi, cuore, ginocchi, schiena e polmoni.